La tentazione del primo colpo porta al suicidio dell’umanità
La nuova tecnologia supera il meccanismo della deterrenza e dell’equilibrio del terrore. Non servono proclami moralistici ma una mobilitazione di scienziati capaci di far capire il percolo reale che corriamo tutti.
Intervista al geografo ed esperto di strategie militari Manlio Dinucci
A cura di Carlo Cefaloni, Cittànuova Extra – Marzo 2018
Su gentile concessione della rivista proprietaria di testi e foto
Manlio Dinucci è uno dei massimi esperti nell’analisi della guerra. Come il suo conterraneo toscano Tiziano Terzani, è stato attratto in gioventù dalla Cina, tanto da decidere di andare a vivere e lavorare a Pechino negli anni Sessanta, contribuendo alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana e alla diffusione delle Lettere dalla Cina della giornalista statunitense Anna Louise Strong. Noto saggista, è autore di diffusi testi scolastici di geografia umana, molto apprezzati per la loro completezza di visione. La sua opera più recente, pubblicata a fine 2017 da Zambon Editore, ha un titolo molto esplicito: «Guerra nucleare. Il giorno prima. Da Hiroshima a oggi: chi e come ci porta alla catastrofe».
Incontro Manlio Dinucci a Pisa, la sua bella città non lontana dalla base militare di camp Darby, punto nevralgico dell’esercito Usa in Europa e deposito principale delle sue forze aeree, strettamente collegato con il vicino porto di Livorno, adatto ad ospitare unità navali estere a propulsione nucleare, dove il carico di armi e uomini raggiunge tutto il mondo.
Da grande esperto che padroneggia le fonti nella lingua originale, mi mostra il bel sito web della Liberty global logistics, compagnia statunitense che mette in evidenza il gigantesco nastro trasportatore delle merci, comprese le armi ovviamente, che attraversano con 70 grandi navi il globo intero. E si tratta solo di una delle tante società private che partono dai porti del nord America per attraversare lo stretto di Gibilterra arrivando a toccare, come primo approdo, il porto di Livorno per poi continuare il viaggio verso il Medio Oriente, Libano, Giordania, Arabia Saudita, proseguendo verso Corea del Sud e Giappone, da dove ripartono per attraversare il Mar Pacifico e tornare in California. Il serpentone delle merci si inoltra nello stretto di Panama per ricominciare il giro che «alimenta le guerre medio orientali» secondo Di Nucci. Si tratta di un’indagine cominciata da una breve notizia di agenzia che parlava dello sbarco ad Aqaba, in Giordania, di 200 mezzi corazzati provenienti dall’Italia. Incrociando le fonti è emerso che si trattava appunto della Liberty logistics, joint venture tra il Pentagono e un gruppo privato che utilizza navi con 15 ponti attrezzati al trasporto di mezzi rotabili. Come idea della grandezza teniamo conto che possono imbarcare almeno 6.500 auto di grossa cilindrata. Ad ogni fermata lo spazio liberato dallo scarico di bombe e armi può essere utilizzato per container contenenti altri prodotti con un sistema che ottimizza le risorse a disposizione. Il flusso è così aumentato che non è più sufficiente il canale di trasporto via mare tra le due città toscane, storicamente avverse tra loro, ma si è inaugurato un tratto ferroviario diretto tra la base di camp Darby e Livorno, mentre lo stesso aeroporto pisano è principalmente un nodo di scorrimento del traffico aereo militare.
Fuori dalle immagini classiche della torre pendente e la strepitosa piazza dei Miracoli conosciuto in tutto il mondo, la città di Pisa mostra il collegamento diretto del nostro Paese con gli scenari di guerra che possono sfociare nel conflitto atomico. Commentiamo assieme la cognizione reale di quegli oltre 200 parlamentari italiani che hanno firmato l’impegno per richiedere al nostro Paese l’adesione al trattato di abolizione delle armi nucleari approvato a maggioranza dalla Conferenza dell’Onu il 7 luglio del 2017. Sono consapevoli che tale scelta comporterebbe la necessità di sloggiare le 70 bombe nucleari stoccate nelle basi Usa di Aviano e Ghedi? E come la mettiamo con la commessa dei caccia Jsf35 che la Lockheed Martini ha attrezzato apposta per il trasporto e l’utilizzo di ordigni nucleari?
Arriviamo così alla domanda vera e propria che inizia l’intervista: sul nucleare esiste molta retorica, mentre nella sostanza ci si affida a tale strumento di dissuasione come garanza di pace. Non è questa la realtà?
Farei una precisazione necessaria. L’arma nucleare non può essere intesa e affrontata solo nel suo aspetto tecnico ma nel concreto contesto geopolitico in cui viene trattata. Dalla deflagrazione di Hiroshima e Nagasaki ad oggi possiamo individuare grosso modo tre grandi fasi. Esiste così un primo tempo che vede gli Usa detentori esclusivi dell’arma atomica, utilizzata poi non per il fine di affrettare la fine del conflitto mondiale e risparmiare altre vite ma per ragioni di supremazia strategica verso l’Unione sovietica. È ormai accertato storicamente che non vi furono ragioni militari ma politiche. Il Giappone era ormai a pezzi e avviato alla capitolazione. Importava, allora, escludere Stalin da ogni presenza sul Pacifico e far finire la guerra il più presto possibile per sedersi al tavolo delle trattative dei vincitori in posizione di vantaggio.
Comincia così la “guerra fredda”…
È proprio così, ma l’esclusiva nordamericana dura solo 5 anni, periodo in cui si fecero studi per valutare la dotazione necessaria ad un impegno verso la Russia come arma di ricatto. Ma nel 1949 anche i sovietici dimostrano di possedere la bomba nucleare e nasce così anche l’alleanza atlantica tra i Paesi occidentali sotto la direzione Usa. Comincia così la corsa agli armamenti che vede crescere il numero delle nazioni che riescono, man mano, a dotarsi dell’arma atomica fino ad accumulare un arsenale paragonabile al potere distruttivo di un milione di bombe come quella lanciate a Hiroshima, tanto da cancellare dalla faccia della Terra non solo la specie umana ma quasi ogni forma di vita.
Perché con il collasso dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda non si arriva ad un processo di distensione?
Da una parte gli Usa cercano di approfittare della scomparsa del nemico storico per avvantaggiarsi sul piano strategico globale. Si concludono, in tal senso, dei trattati per fermare la proliferazione nucleare che sono già minati fin dal principio. La Russia, data per spacciata, riprende vigore a livello di dotazione atomica senza raggiungere la potenza del periodo sovietico ma restando comunque temibile e arriviamo così alla terza fase.
Come inizia tale fase attuale?
Con la nuova offensiva lanciata dagli Usa dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre. È una fase che vede il prevalere dell’aspetto qualitativo su quello quantitativo in forza delle innovazioni in campo tecnologico. Le armi nucleari sono diminuite in termini di numeri ma il loro uso effettivo resta comunque letale. La capacità di overkilling delle armi (uccidere più volte) importa poco perché ciò che vale è che si uccida almeno una volta sola. La corsa agli armamenti nucleari è quindi qualitativa e vede coinvolti più attori oltre Usa e Russia. La Cina in primo luogo tra le altre 8 potenze nucleari che seguono. Ad esempio come ha affermato Hans Christensen, rappresentante della Federazione degli scienziati americani, gli Stati Uniti non hanno accresciuto il numero delle testate nucleari presenti nei sottomarini di attacco nucleare ma ne hanno triplicato la capacità distruttiva. La tecnologia ne ha potenziato la precisione. Sono scenari che sembrano fantascientifici per la maggior parte delle persone che non riescono a concepire l’utilizzo non solo di droni ma di velivoli robotici capaci di effettuare la missione di attacco del tutto autonomamente. Si entra ampiamente nel campo delle nanoarmi che dimostrano quanto la scienza sia sempre più a servizio del potenziale distruttivo dell’umanità. Siamo molto lontani dal tempo degli appelli collettivi degli scienziati contro la distruzione atomica (Manifesto Russel Einstein,ndr).
Ci sono eventi e appelli come il simposio sul disarmo nucleare tenutosi in Vaticano nel novembre 2017
Certo è significativo ma esistono dei limiti evidenti della mancanza di un lavoro scientifico ad alto livello. Ad esempio negli anni ’80 ho lavorato con il Nobel per la Medicina, Daniel Bovet, e altri per la costituzione della sezione italiana dell’International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione che ricevette il premio Nobel per la pace nel 1985 assieme alla Pugwash Conferences on Science and World Affairs, per il lavoro svolto per far capire le conseguenze dell’utilizzo dell’arma atomica. Gli scienziati si esponevano per avvertire l’opinione pubblica del pericolo imminente ed effettivo di ciò che si stava preparando. Oggi sono pochi e meritevoli quelli che si espongono come i premi Nobel ma sono dichiarazioni di principio, di carattere etico mentre occorre mettere in campo il sapere scientifico a livello divulgativo. Non è più il tempo per convegni specialistici a porte chiuse e lingua inglese ma quello di divulgare, su dati scientifici, la conoscenza a tutti per far capire il pericolo concreto a cui stiamo andando incontro seguendo questa via.
A me pare che sia livello scientifico che a quello filosofico stia prevalendo l’idea che l’unica via realistica di salvaguardia di un equilibrio seppur instabile resta la deterrenza nucleare. Come ha detto Sofri, «i pacifisti hanno perso», dispiace dirlo ma, col senno di poi, avevano ragione i politici che un tempo egli stesso contestava perché schieravano i missili nucleari in risposta agli SS20 sovietici…
Ma è proprio questo ragionamento che non funziona più. Non solo dal punto di vista etico o ideale ma seguendo l’evoluzione della tecnologia come ancora fa la Federazione degli scienziati americani. Non basta dire che è una follia ma citare gli studi più recenti che dimostrano il superamento del meccanismo della deterrenza incarnata nell’acronimo inglese Mad (mutua distruzione assicurata) e cioè dall’equilibrio del terrore: “Se io ti attacco so che tu mi puoi contrattaccare e ci distruggiamo a vicenda”. Questo ragionamento semplice e tremendo non funziona più perché il perfezionamento qualitativo degli armamenti cerca di arrivare alla possibilità di assestare il primo colpo ( first strike) ed uscire vincitori da questo confronto senza pagarne le conseguenze. Gli Stati Uniti sono sempre all’avanguardia su questa frontiera della ricerca ma non possono godere dell’esclusiva per troppo tempo perché l altre potenze, a cominciare da Russia e Cina, sono in grado di arrivare agli stessi risultati. Sono dati niente affatto fantascientifici. Emergono dagli studi scientifici più avanzati e da quelli strategici degli alti livelli militari.
In cosa consiste tale salto tecnologico?
Prendiamo ad esempio di armi nucleari penetranti come la B61-12 che sarà schierata in Italia a partire dal 2020. In cosa differiscono dalle bombe B61 già in dotazione della basi statunitensi di Aviano e Ghedi? Che quest’ultime sono “stupide”, vengono cioè trasportate dagli aerei e sganciate in verticale sull’obiettivo da colpire una volta che si è riusciti a superare le difese avversarie. La B61-12 è un ordigno polivalente con testate a 4 opzioni diverse di potenza a seconda dell’obiettivo più meno specifico da raggiungere. La bomba si dirige sull’obiettivo con la cosiddetta capacità “antibunker” di esplodere dopo essere penetrata nel terreno per colpire non solo i silos delle rampo di lancio dei missili nemici ma anche le sale di comando che sono protette nei bunker sotterranei. In tal modo si cerca di annientare la testa della capacità offensiva.
Ma non si può mai essere sicuri di aver tolto di mezzo ogni minaccia offensiva…
Ed è così infatti. Basta pensare ai sottomarini che hanno in dotazione ognuno circa 200 testate nucleari pronte a dirigersi verso gli obiettivi predefiniti. Secondo la Fsa , Federazione degli scienziati americani, i soli sottomarini statunitensi hanno la forza di abbattere l’intera capacità offensiva delle testate nucleari russe che hanno lo svantaggio di essere situate tutte a terra. La gran parte delle forza offensiva nucleare di Washington è invece basata sulla mobilità dei sottomarini di attacco nucleare. In merito ai quali ho avuto modo di approfondire la linea del comando che conduce alla scelta di usare, o meno, l’atomica.
In che senso ha avuto esperienza diretta?
Negli anni ’80 ho conosciuto degli analisti del Center for Defense Information di Washington, fondato da ex alti ufficiali della Marina statunitense i quali, invece di andare a ricoprire qualche posto ben retribuito di consulenza per le industrie belliche, avevano creato uno strumento critico verso le politiche del governo che potevano prendere di mira con una certa libertà essedo ormai a riposo. A quel tempo collaborai con tale istituto andando a Washington ricevendo ospitalità presso la bella residenza ottocentesca di un ex capitano comandante di sottomarino di attacco nucleare che aveva sul capo del letto matrimoniale che aveva offerto a me e mia moglie, invece di un’immagine sacra, la targa del sottomarino che si consegna ai comandanti quando vanno in pensione. Questo alto ufficiale mi diceva che nella catena di comando della marina il suo ruolo aveva la capacità autonoma di decisione di lancio del carico atomico. Sulle basi terrestri infatti ci sono procedure di verifiche molto più elaborate collegate con l’ordine che parte dalla cosiddetta valigetta nucleare che accompagna sempre il presidente statunitense, ma anche quello russo e quello cinese ovviamente.
Cosa contiene questa famosa valigetta?
Non contiene il pulsante per lanciare la bomba ma dei codici di identificazione complessi per rispondere all’avviso di pericolo che può arrivare in qualsiasi momento. Si calcola che i tempi di percorrenza di un missile intercontinentale dalla Russia agli Usa o dalla Cina e viceversa è di circa 30 minuti. Un tempo molto stretto durante il quale bisogna esercitare una serie di verifiche. Negli anni scorsi abbiamo avuto diversi errori e falsi allarmi che hanno portato il mondo sull’abisso di una guerra nucleare sventata all’ultimo momento. Il sistema è fallibile per diversi motivi. Nel sottomarino il comandante, davanti alla notizia di attacco nucleare, deve fare una verifica e chiedere conferma ad una serie di comandi superiori prestabiliti. Se nessuno di questi risponde, vuol dire che sono stati annientati e bisogna reagire in tempi immediati. Il codice di comportamento da seguire è quello di lanciare il missile verso gli obiettivi predefiniti. Il comandate della nave possiede i codici di lancio di testate nucleari ulteriormente perfezionate come potenza e precisione.
Ma il sottomarino, muovendosi in mare, non può lanciare un missile che deve percorrere un tragitto più breve di quello continentale?
Esatto. Il sottomarino lancia un missile con decine di testate che servono a confondere la difesa nemica. Alcune sono cariche e altre hanno una funzione civetta. I tempi di decisone del presidente sono stimati in 5/6 minuti dopo aver ricevuto l’avviso fatidico: “Siamo sotto attacco!». Dopo le verifiche e le conferme dei comandi militari, arriva la decisione di rispondere all’offesa. Ma mentre i missili intercontinentali ci mettono mezzora per compiere il tragitto, attraversando l’atmosfera, quelli Trident che partono da un sottomarino di attacco, vicino alle coste, ci possono mettere anche 15 minuti e anche meno per arrivare sugli obiettivi. Si arriva a tempi di reazione vicino allo zero. Che fare? Ci si affida a super computer e a sistemi robotici programmati per ricevere ed elaborare in contemporanea una mole enorme di informazioni per poter confermare e dire «siamo sotto attacco, è confermato», lasciando così quei 5 minuti necessari per prendere l’ultima decisione. Ma i tempi si fanno sempre più stretti e ci si affida a dei robot che possono essere fallibili. Rientriamo così nell’immaginario folle del Dottor Stranamore descritto dal famoso film di Kubrik.
Siamo in mano a dei super computer come avviene con le transazione speculative della finanza… Che scenari si possono prospettare secondo gli esperti?
Gli scienziati della FSA ipotizzano che nel caso di primo colpo statunitense, capace di distruggere l’intero potenziale atomico balistico intercontinentale dei russi, Mosca dirigerà i missili restanti sugli obiettivi più vicini, a partire dalle basi Usa in Europa, a cominciare dall’Italia. In tempi rapidi si arriva così alla decisione di rispondere a questa ulteriore reazione con la distruzione completa della Russia. Non sono wargames ma scenari possibili che sono oggetto di studi strategici militari noti ma rimossi dall’immaginario dell’opinione pubblica. C’è da dire che i russi stanno smantellando i silos a terra delle loro piattaforme di lancio dei missili intercontinentali, per trasferirli su enormi mezzi di locomozione a 16 ruote continuamente in movimento. Altra tecnica, giù vigente nella Guerra Fredda, è quella di utilizzare dei treni opportunamente mimetizzati in viaggio senza soste movimento sulla rete ferroviaria russa che è molto sviluppata. In circa 10 minuti, il treno può fermarsi e alzare il tubo di lancio dei missili intercontinentali una volta ricevuto l’ordine di attaccare.
Non esiste tuttavia la possibilità dello scudo stellare?
Gli Usa lavorano da tempo al sistema dei missili antibalistici. Non possono dire di essere pronti ma sono in una fase molto avanzata. L’idea dello scudo fa pensare ad un sistema di difesa, ma in maniera solo apparente. Si torna cioè all’idea di due guerrieri dei quali solo uno possiede lo scudo e può perciò parare i colpi oltre che attaccare per primo confidando nella difesa rafforzata dello scudo.
Si rafforza così una corsa senza fine all’arma più sofisticata…
È la dinamica in atto. Le rampe di lancio dei missili antibalistici possono ospitate anche testate di attacco nucleare. Se gli Usa le collocano in Polonia, Mosca non può far finta di niente. Tanto è vero che nel 2018 è prevista l’adozione, da parte dei Russi, dei missili Sarmat capaci di abbattere ogni difesa antimissilistica. Una volta lanciate, le testate nucleari non seguono la traiettoria di un calcolo balistico come avviene con un cannone. Ad una velocità di 28 mila chilometri l’ora, le bombe hanno dei sensori che li avvertono e gli permettono di aggirare la difesa antimissilitica e colpire l’obiettivo finale. Questa è la gara che coinvolge finora Russia, Usa e Cina , anche se quest’ultima è molto più distaccata in classifica ma con notevoli capacità di ripresa e crescita. Non bisogna, tuttavia, ignorare Gran Bretagna e Francia, per restare nella Nato e in Europa.
Ma sono della partita anche le altre nazioni del club atomico…
Certo, anche se molto meno sviluppate possiedono armi atomiche due grandi Paesi asiatici come India e Pakistan, ma si può considerare anche l’Arabia Saudita come decimo Paese nucleare perché, come è noto a tutti, finanzia gran parte del programma atomico pakistano. In pratica le può avere in possesso assieme a piloti addestrati per l’utilizzo di caccia bombardieri adatti al carico di ordigni atomici. E poi c’è quella che io chiamo la “bomba segreta”.
La bomba segreta? Cioè?
Intendo dire che Israele possiede armi nucleari molto avanzate grazie alla collaborazione ricevuta dalla Francia e da molti altri. È l’unico Paese del Medio Oriente che ha in dotazione l’arma atomica se non si vuole mettere in conto l’Arabia Saudita. Alla fine della Guerra Fredda solo il Sud Africa di Mandela ha rinunciato al possesso delle armi nucleari, ma ad oggi almeno 30 Paesi sono in grado di fabbricare armi nucleari perché in possesso di conoscenza tecnologiche adeguate oltre alla disponibilità di plutonio e uranio. Si pensi in particolare il Giappone che ha plutonio in abbondanza così come la Corea del Nord e la Germania.
Ma l’attenzione è tutta verso la Corea del Nord e il suo regime dispotico
Certamente possiede armi atomiche ma non è sicuro che abbia la possibilità di saper usare e lanciare con missili balistici. Si pensava di poter gestire un processo di disarmo nucleare progressivo ma con lo scatenamento dell’offensiva militare seguita all’attentato delle torri gemelle del 2001 la situazione è precipitata e a Pyongyang hanno detto di aver imparato la lezione della distruzione della Libia. Gheddafi cioè aveva dato le garanzie di fermare lo sviluppo del nucleare militare possibile grazie ai fondi sovrani, esponendosi così all’operazione concordata di Francia e Usa che ha condotto al caos attuale. «Non lo avrebbero potuto fare davanti ad un regime libico in possesso dell’arma nucleare», afferma la Corea del Nord secondo una logica folle ma coerente.
Lo sviluppo delle armi viaggia ad un ritmo così elevato che il rischio non riguarda solo lo scontro tra Paesi nucleari…
Esiste tutta l’area delle cosiddette nano armi, in via di perfezionamento in pochi anni, che possono essere micidiali e ridurre una Nazione in ginocchio pur usando strumenti piccoli e inavvertibili come delle zanzare. Le stanno perfezionando e se ne parla tra esperti. È chiaro che l’utilizzo di tali mezzi di offesa da parte di un Paese avanzato contro uno Stato in possesso dell’arma atomica, potrebbe agire da detonatore dell’incubo nucleare. Senza dimenticare il pericolo rappresentato dall’enorme quantità di plutonio oggi in circolazione.
Che tipo di pericolo può innescare tale materiale proveniente dalle centrali nucleari?
Siamo davanti ad una sostanza creata dall’essere umano, che non esiste in natura, cioè, e che resta pericoloso per al meno 240 mila anni. Da questa eredità che trasmettiamo alle generazioni future si può innescare sia il proliferare dell’arma atomica come il suo utilizzo per fini terroristici. Si dice terrorismo nucleare non tanto perché si lancia una bomba ma per la possibilità di attacco contro una centrale nucleare. Sette esperti in Francia, ingaggiati dall’organizzazione ambientalista Greenpeace, hanno potuto dimostrare la vulnerabilità delle centrali nucleari di quel Paese ad atti di terrorismo. Le copie di quel rapporto, redatto dopo 2 anni di indagine, sono state consegnate responsabilmente alle autorità francesi senza divulgare le modalità di attacco capace di generare una nuova Chernobyl. Stiamo cioè scherzando con il fuoco.
Uno scenario inquietante …
Che deve chiamare alla responsabilità. Per questo dico che bisogna prestare attenzione alla qualità delle armi atomiche e non al loro numero. Ad esempio le bombe Usa sono ora “solo” 7 mila ma hanno triplicato la loro potenza. Allo stesso tempo gli Stati Uniti hanno in deposito 20 mila nuclei di plutonio che in poche mesi possono trasformarsi in armi atomiche. Il meccanismo dell’industria militare nucleare è esposto a molti errori e rischi, compreso quello terroristico che può essere manovrato per diverse finalità. Ad esempio per generare il panico e costruire le prove necessarie a giustificare l’uso dell’arma atomica come strumento finale. Di fronte a tali esiti estremi si risponde, di solito, politicamente con dichiarazioni generiche di buona volontà che mirano a smorzare l’allarme mentre, ad esempio, a Ghedi e Aviano stanno per arrivare le nuove bombe B61-12 che rientrano in questa strategia del terrore che ci vede esposti in prima linea come degli ostaggi. Il potere del nucleare è la quintessenza del potere, davanti al quale quel che resta del pacifismo avanza diviso o tentato da azioni simboliche.
Il simposio di novembre in Vaticano ha cercato di mettere assieme e far dialogare pezzi della società civile come la rete Ican con esponenti di primo piano della Nato e della Russia ad esempio…
Il papa ha fatto proposte concrete per fermare il suicidio dell’umanità. Tuttavia i premi Nobel si sono espressi con nobili dichiarazioni morali mentre occorrono interventi accessibili di scienziati che mettano in allarme la popolazione sulle conseguenze di un disastro atomico. In questo senso è stata molto più concreta la vicesegretaria della Nato che è intervenuta attaccando il trattato Onu che pone al bando le ami nucleari definito illusorio e mettendo in luce la strategia dei piccoli passi che ha portato nel tempo a ridurre il numero delle testate nucleari. Senza considerare l’abisso davanti al quale ci troviamo per tutti i motivi che abbiamo detto finora. Francesco lancia un grido per mobilitare le coscienze ma i media sono rimasti silenti e hanno messo in sordina il messaggio. Così come in Parlamento le mozioni approvate hanno confermato la scelta di non aderire al trattato di proibizione delle armi nucleari seguendo la strategia della Nato di impedire la firma del trattato stesso.
Le persone vogliono vivere senza il fardello di questa consapevolezza. Sentendosi incapaci di mutate il destino delle cose affermano che è meglio vivere sotto la protezione delle bombe ….
Purtroppo non sono, non siamo, protetti ma degli scudi umani di una strategia che altri stanno decidendo sulle nostre teste. Mentre parliamo un missile è stato programmato per arrivare a destinazione da queste parti facendo scomparire Camp Darby, Pisa e Livorno. Se non esiste la coscienza politica dovrebbe subentrare l’istinto di sopravvivenza ma questo è stato spento dal bombardamento mediatico. Quando parlo citando dati e fonti precise mi guardano increduli, anche quelli più sensibili. Eppure non sono cose riservate ai generali o agli amministratori delle società di armi ma all’umanità intera.